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C. Celano, Delle notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per i signori forastieri date dal canonico Carlo Celano napoletano, divise in dieci giornate, Napoli,nella stamperia di Giacomo Raillard, 1692

Castel dell’Ovo – Chiesa di San Salvatore – Villa di Licinio Lucullo, Giornata Quinta, pp. 77-86

(…) Vedesi il Castel del Uovo, credesi dal volgo che Vergilio Marone l’habbia fatto sortir questo nome per havere incantato un uovo e chiusolo in una carafa, e la carafa in una gabbia di ferro, che data fu alla custodia d’una sicura camera, dicendo che quel castello, che si diceva Marino, tanto sarebbe durato quanto quel uovo si fusse mantenuto, conti son questi di vecchiarelle, scritti dalla semplicità del nostro Gio: Villani, e, se bene esso Gio: scriva d’haverlo preso da un’altra antica cronica, Francesco Petrarca disse al re Roberto, mentre passavan dalla grotta che va a Puzzuoli, che anco portava fama d’essere stata fatta da Vergilio per incanto, che lui sapeva Marone essere stato un gran poeta e non gran mago, oltre che ne’ tempi di Vergilio questo luogo né meno si sognava esser castello. Portano alcuni de’ nostri accurati scrittori che si dica del’Uovo per la forma ovata ch’egli tiene, né questo nome dell’ovo trovo esserli dato che da Carlo I, essendo che prima veniva chiamato e da’ normandi e da’ svevi Castrum Lucullanum. Scrivono altri de’ nostri scrittori che qui fusse stata l’antica Megara, Città Greca, e par che habbia qualche fondamento perché quando il mare è tranquillo per molto spatio s’osservano dentro dell’acque molte vestiggia d’antiche fabriche reticolate e lateriche; essendo io giovanetto, conobbi un vecchio chiamato Giuseppe Cardone, familiare di nostra casa; questi era stato il più gagliardo, destro e valente nuotatore di questo secolo, essendo che si manteneva per quasi mezz’ora sott’acqua, e dir mi soleva che essendo egli giovane spesso si portava a nuotare d’intorno al castello dove eranno moltissime muraglie sott’acqua, e spesso vi trovava qualche medaglia e qualche cameo, ed una volta certi idoletti di bronzo che donò a mio padre, ed ancora presso di me si conservano; mi disse ancora che un giorno si cacciò per un buco dentro d’una gran volta, ma intimorito dal sospetto di qualche fiera marina, l’acque che s’eran di già mosse l’havevano tolto la vista dell’ingresso, onde disperando l’uscita si credea di perire, ma ricorso all’aiuto della Madre della misericordia, trattenutosi sopra acqua, vidde di nuovo l’adito e ne uscì salvo. In questo luogo Lucullo fabricò il suo palazzo con moltissime delitie, in modo che chiamate venivano le Delitie Lucullane. Qui furono piantate per la prima volta in Italia le cireggie che fece egli venir da Cerasunto, ed i persichi da Persia, ma più per goderne de’ fiori che della frutta, perché stimava che in Napoli havesser dovuto uscire velenosi come nella Persia; ma non fu così, perché il nostro terreno se ne succhia la parte cattiva in modo che, seccando una pianta de questi, se nelo stesso luogo piantar si vuole pianta d’altra specie, presto secca, se prima la terra per qualche tempo non si lascia vuota. Presso di questo luogo, dalla parte d’occidente che guarda Posilipo, vi sono le pischiere delle murene del detto Lucullo, e quando è tempo tranquillo, con una barchetta poco lungi dal Castello s’osservano benissimo: sono tre, ed in una, che è in forma ovata, vi si veggon nella bocca i canaletti per dove, cred’io, calavano i ripari a chiuderla. Questa punta di montagna stava unita con quella de Pizzo Falcone, che fino a’ nostri tempi Lucullano, e corrottamente dal volgo Locugliano vien detto; Per un gran tremoto restò separata dalla terra ferma e si ridusse in isola, come da molti storici si scrive. Cominciò poscia ad essere habitata, come delitiosa. I monaci basiliani vi fabricorono un monasterio ed una chiesa dedicata al Salvatore, per lo che detta venne l’Isoletta del Salvatore, ed in questo monasterio morì, come si disse, la santa vergine Patritia, quando la seconda volta venne in Napoli trasportata da una tempesta. Questo monastero poi fu conceduto a’ monaci benedettini, e la chiesa fun intitolata San Pietro, né si sa in che tempo e come accadesse. Circa poi gli anni 1164 Guglielmo Normando, che visse a genio, e perché era cattivo sortì l’aggiunto di Malo, doppo di tante traversie patite nel suo regnare, timoroso sempre, come sempre accade a chi malamente opera, doppo d’haversi fabricato l’habitatione dalla parte di terra, che fu il Castel di Capuana, ne fabricò questo dalla parte di mare per variare habitatione nell’estate, e lo nominò Castello Lucullano, da Lucullo che v’hebbe l’habitatione, come si disse, e dentro vi restò il monasterio già detto che fu nominato San Pietro a Castello; morto Guglielmo il Malo nel fine dell’anno 1166, restò questa fortezza imperfetta, fortificata però al uso di quei tempi; né Guglielmo Secondo suo figliolo, detto il Buono per le buone virtù che innestate le furono nell’animo dalla regina Margarita sua madre, figliola di Garsia Secondo re di Navarra, né i suoi successori cercorno di finirlo e di mantenerlo, in modo che il solo nome l’era rimasto di fortezza, e quasi tutto stava in potere de’ benedettini. Nell’anno poscia 1221 Federico Secondo della casa di Svevia, imperatore e re di Napoli, doppo d’essere stato coronato in Roma, tornò in Regno con Nicolò Pisano, famoso architettore di quei tempi, col disegno e direttione di questo finì il Castel di Capovana, e fortificò questo con molte torri, delle quali fin hora ne appariscono le vestiggia. Il monasterio poi, come è stato detto de’ benedettini, fu conceduto alle Monache di S. Sebastiano in tempo degli Angiovini, che poscia per le cause già dette passorno nel luogo dove si veggono. Nell’anno 1502 fu espugnato da Pietro Navarro gran soldato, e nonostante che sia cinto d’acque fu minato dalla parte sinistra che riguarda la terra, e furono le prime mine che si viddero pratticamente in Napoli. Restò molto mal ridotto, e particolarmente da’ flutti del mare; nel 1595 fu restaurato dal viceré don Giovanni Zunica conte di Mirando; hora in tempo dell’eccellentissimo signor Marchese di Santo Stefano viceré, che al presente ottimamente governa, vi si è aggiunto dalla parte d’oriente un fortino, dove si diceva alle Molina, per le molina che anticamente vi stavano a vento, e questa per far giocare il cannone a fior quasi d’acque, e nel fabricare vi si son trovate ed osservate antiche vestiggie d’edificii. Dentro di questo castello, che sta ben munito de cannoni, nell’armeria vi sono alcune armi antiche, e particolarmente balistre. Sotto la stanza della munitione vi è parte dell’antica chiesa del Salvatore, che poi fu detta di San Pietro, e quando vi calai fu da me osservata tutta dipinta a maniera greca ed antica; v’era un architrave fisso nelle mura, intagliato e dorato, e nel mezzo vi era un massiccio lampiere di bronzo bene attaccato, e questo stava avvanti d’una candidissima cassa di marmo che pareva d’alabastro: stava scoverta, e dentro v’erano tre bellissime teste spolpate, un cranio ed un osso di braccio o di gamba; nel frontespizio di detta cassa vi era una croce alla greca con sei nomi de santi in latino, e fra questi “Sanctus Stephanus”, ma non se ne è potuto cavare notitia alcuna, benché da me fussero state operate molte diligenze, anco nelle scritture del monasterio di San Sebastiano, che n’haveva molte, toccante questo monasterio di San Pietro a Castello. Vi sono le stanze del paroco, che chiamano cura in spagnuolo; da queste stanze si cala alla celletta dove a’ tredici d’agosto dell’anno 365 passò in Cielo santa Patritia, e contigua a questa si veggono le vestiggia del’antico monasterio, e con queste si può venire in cognitione della strettezza del vivere degli antichi monaci. In questo castello vi è il regio magazzino della polvere. (…).

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